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Penitenziali, Libri.

Codici di epoca medioevale, compilati ad uso dei confessori, in cui erano riportate le penitenze pubbliche fissate dalle leggi canoniche o stabilite dalla prassi in relazione al tipo di peccato e alla sua gravità. Essi rappresentano per noi una delle più importanti fonti giuridiche del diritto canonico, anche se le loro radici affondano nella cosiddetta penitenza tariffata, consuetudinaria fra i popoli barbari nord-europei, in cui il delitto veniva riscattato mediante una composizione legale adeguata. Tale criterio fu applicato anche alla sollevazione morale dalla colpa, di modo che la pubblicità dell'atto penitenziale divenisse contemporaneamente strumento di pacificazione sociale. La redazione di questi codici ebbe anche una precisa funzione uniformatrice dal momento che, con il graduale sostituirsi della penitenza privata a quella pubblica (V. PENITENZA), non era più solo il vescovo a dispensare il perdono ma tutti i preti, con maggiore sperequazione nell'assegnazione delle pene. Per ridurre al minimo l'arbitrio dei singoli sacerdoti, invalse l'uso di questi testi, la cui minuta casistica evitava diseguaglianze troppo ingenti. Il gruppo di libri più antico è quello celtico, originario dall'Irlanda e risalente al IV sec. circa, ma il più significativo è quello anglosassone che comprende, fra le altre, compilazioni di Teodoro di Canterbury (VII sec.) e del Venerabile Beda (VIII sec.). Durante il IX sec. se ne ebbero esemplari anche in Italia e in Francia. L'uso dei L.P. cominciò a declinare durante il X sec., quando lo sviluppo della teologia sacramentale approfondì la dimensione di espiazione morale rispetto a quella di riparazione sociale e alla casistica di tipo giuridico si sostituirono le summae confessorum, primi esempi di trattati di teologia morale.